Cerca i suoi amici accanto a sé, ampliando il raggio a ogni occhiata. Sono ancora sul vagone, i rammolliti.
Un altro fischio del locomotore. Il convoglio sibila e scricchiola rallentando sempre di più. Italo prende atto che quel vigliacco del suo amico trova il coraggio di saltare solo quando il treno va a passo d’uomo, ma ancora un po’ troppo veloce per quella pappa molla di Vanda, che invece si degna a vagone fermo, senza fretta, sdraiandosi e scivolando sulla pancia con i mutandoni in mostra, fulgidi nel buio. Lascia che i due lo raggiungano.
<<Codardi>> dice.
<<E’ colpa di Vanda>>
<<Mi sono sbucciata un gomito>> protesta lei mostrando una pellicina sollevata a Italo, che fieramente gronda sangue.

I primi raggi del sole sono confortanti, dissolvono i tremori per il freddo accumulato, illuminano di gloria l’inizio del secondo capitolo della loro impresa, e soprattutto alzano il sipario su uno spettacolo inimmaginabile. “Il cortile più grande del mondo” pensa Cosimo di fronte alla campagna che si estende a perdita d’occhio.
Ronzii improvvisi e battiti d’ali allarmati accompagnano i loro passi. Pare che la natura li stia studiando. “Non è come gironzolare in città” pensa Cosimo. Mura, muretti, portoni, cancelli e grate definiscono le proprietà, gli spazi accessibili, circoscrivono percorsi obbligati; in campagna vige un ordine diverso, religioso, fatto di tanto spazio, tanta aria, tanta luce. Viene voglia di urlare a squarciagola. Non fa nemmeno in tempo a domandarsi se questa sensazione sia condivisa dai suoi amici che Italo inizia a sbraitare.
<<Camerati tedeschi! Sono il balilla Italo Barocci, figlio del commendator Carlo Albero Barocci e fratello dell’eroe di guerra Vittorio Barocci! Vorrei conferire con il vostro capo per una cosetta molto urgente! Traduci, Vanda>>